Ognuno ha una storia da raccontare. Chi dice di non averne alcuna, in realtà sta già raccontando qualcosa.

giovedì 6 novembre 2014

Il modo in cui ci spostiamo nel mondo cambia, in parte, la prospettiva con cui lo guardiamo

Ebbene, ogni giorno noi ci spostiamo nello spazio, non importa se il tragitto va da casa a scuola, dal torrido emirato del Qatar ai lidi del Sol Levante, o dal regno della pigrizia alla repubblica della golosità: ciò che conta è come ci muoviamo.
Un giorno, ormai non ben precisato, dovevo recarmi presso una mia amica, per una maratona del Signore degli Anelli. Per coronare di epicità tale impresa, scelsi di utilizzare una bicicletta. Ma la verità è che ci sono città fatte per i ciclisti e città che...NO. Ovviamente la mia è tra i "NO".
Quel giorno, poi, il "NO" era talmente mastodontico che non se ne scorgevano i confini: piovigginava, in quel modo singhiozzante che rende l'asfalto una lustra autostrada verso slogature e tombini insidiosi. Ma io avevo preso la mia decisione, così, bardata in un k-way, rispolverai la mia bicicletta, come un vecchio campione di corse che accarezza la sua fedele auto.
Mi avventurai lungo la discesa, rigorosamente piena di curve da cui, di solito, spuntano autobus che sfidano la gravità e moto in contromano. A quel punto, il vento mi calò il cappuccio sugli occhi, il che era quantomeno fastidioso.
La pendenza incalzava.
Cercai di risistemarlo, ottenendo solo di calarlo più storto di prima. La curva, la curva!
Tirai una bella frenata, rischiando di sguisciare addosso a due innocenti passanti, che mi guardarono come se fossi uscita, lì, da un tunnel spazio-temporale. Forse perché, calato ormai il cappuccio fino al naso, ultima barricata, viaggiavo con la testa praticamente reclinata, sperando in tal modo di vedere ancora qualcosa. Il mio principale predecessore penso sia stato ET. Io però ho preferito non spiccare il volo. Risistemata la bardatura, ripartii. Quando ormai pensavo che la situazione fosse stabile, ecco uno strano movimento ellittico dalle parti di un pedale: si stava svitando. Da quel momento, visto che la vite era spanata, è occorso fermarmi in media ogni venti metri, per non perdere quell'arnese per strada, pedalando solo dal lato buono, cercando di non farmi investire dai bolidi che mi sfrecciavano accanto, felici del loro motore ruggente.
Inutile dire che, al ritorno, su per la salita, se sono riuscita a ritornare sana e salva a casa è stato merito della colonna sonora della battaglia degli Ent. Per piacere, basta disboscare!



Alla prossima!
Nuzza  

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